mercoledì 29 aprile 2015

A ERNESTO NON PIACE NUOTARE

La senti.
Quando l'aria che respiri e che va a sbattere sul tuo viso ha un modo tutto suo di essere fredda, di essere cruda, come quando nei film l'attentatore telefona per dire di aver messo una bomba, ma che oramai è tardi per salvare tutti, sai che sta arrivando.
Io la sento arrivare, la sento come un branco di mustang selvaggi che sfiniti scappano da chissà che cosa. In questi casi mia madre mi ha insegnato a portare tutti gli animali al sicuro, serrare gli scuri e, nei casi più estremi, andare a ripararsi nel rifugio sotto casa ad aspettare. Alla fine non si è mai fatto male nessuno, non è una cosa tragica come vogliono dipingerla nei film. Ma ora sono ad almeno 3 ore dalla terra ferma, con una barca che non è la mia e per essere qui a lavorare ho pure mentito sul fatto di saper nuotare. L'ultima volta che sono andato ad un corso di nuoto o a qualcosa che gli assomigliasse, avevo 8 anni. I miei genitori non avevano abbastanza soldi per farmi andare in una piscina e perciò sono andato al mare insieme ad un gruppo di anziani. Mentre loro facevano esercizi per la circolazione o solamente per non morire così lontano dal loro paese, io con le mani facevo finta di nuotare e con i piedi sott'acqua correvo. Non mi piaceva nuotare. Mi ricordo che sudavo, sudavo tantissimo e poi l'acqua del mare mi entrava dal naso.
E mi usciva dal naso.
Non ho mai imparato a chiudere completamente le vie nasali.
Se solo mi fossi impegnato giusto un minimo, forse ora sarei stato un po' più tranquillo. 
Invece qui le onde cominciano a farsi sentire e Andersen non la smette di vomitare. Lui aveva il compito di insegnarmi i trucchi del mestiere, visti i suoi ventisette anni di mare. E invece sono qui a tenergli la testa ferma. Lui dice che è colpa di quelle pastiglie per la pressione che "gli hanno" obbligato a prendere, ma secondo me è più probabile che sia stato il Jameson che "gli avrebbero" vietato di bere. Andersen ha sessantaquattro anni, è nato in una isola tra la Danimarca e la Svezia che non esiste sulle cartine e che nessuno ha mai sentito nominare. Sposato con una donna della Louisiana che,dopo aver scoperto la passione per il sesso libero di Andersen, ha deciso di lasciarlo e di dedicare tutta la sua vita ai riti vodoo e a maledizioni varie. Forse questa è la volta buona che qualcuno ha ascoltato e accolto le sue preghiere. 

Andersen sputa un po' e dopo cerca di alzarsi, senza riuscirci ovviamente.
"Devo pisciare"
"Proprio adesso? Ok, almeno riprenditi un attimo e poi usa questo secchio se non riesci proprio  a trattenerti."
"Non importa, me la sono fatta addosso. Ti fa schifo? Amen, intanto non me ne frega più un cazzo. Non capisci, moriremo tutti."
"Ecco, ora io non esagererei. È una tempesta come tante, tu chissà quante ne avrai affrontate!"
"Moriremo tutti."

Mentre cerco una risposta ottimistica più per me stesso che per Andersen, sento di colpo delle grida non umane arrivare dalla cabina del Capitano. 
"È tutta colpa mia vero? Tutta colpa mia! Non so badare nemmeno a me stesso e voglio fare il capitano! Ma cosa cazzo ho in testa? Dovevo rimanere con te papà. Dovevo continuare a fare il pane! E invece? E invece sto qua in mezzo al mare, con gente che nemmeno la prigione se li vuole prendere, con così poco pesce che basta solo per pagarmi i due denti che mi sono rotto ieri. Ed ora ci si mette pure la tempesta. Io mi ammazzo! La faccio finita! Anzi! Moriremo! Moriremo tutti!"

Benissimo, mi dico.
Tutto sta andando per il meglio.
Respira.
Non respirare troppo. 
Guardati in giro.
Non guardare troppo.
Cerca un appiglio e vai su da quell'idiota prima che faccia qualcosa di irreversibile.
E proprio mentre sto aprendo il boccaporto per salire sul ponte lo vedo gettarsi in mare, tenendosi ben fermo il suo tricorno in testa.
L'acqua sale e scende dal peschereccio con un odio incredibile. Non riesco quasi a tenere gli occhi aperti, il capitano era già sparito nel nulla ma sapevo che saremmo riusciti a sopravvivere a tutto questo. 


"MORIREMO TUTTI!"

"ANDERSEN!"

giovedì 23 ottobre 2014

IL ROMANZO DI SAN SILVESTRO

Oramai erano già due o tre ore che mi ripetevo la stessa frase.
"devo smettere di prendermela in questo modo. Rimarrò da solo". Sul bordo di una strada di provincia, alle due di notte, tutti i dubbi e le ansie vengono ad abbracciarti e a sussurrarti le loro lamentele. Sembra che le auto facciano di tutto per non illuminarti con i loro fari pur di non disturbarti.
Il tempo si dilata, potrei essere su questa strada da giorni come in un cammino di Santiago fai da te.
In lontananza si cominciano a vedere i fuochi d'artificio che il vecchio anno regala a quello nuovo, qualcuno suona il clacson come in una finale mondiale. Quasi a dire "anche quest'anno l'ho portato fuori, qui non si molla di un centimetro". Alcuni cani impazziscono per certi botti che ricordano delle guerre con se stessi, con la propria pubertà. Tutti i suoni ed i rumori si fanno in quattro per avere il dominio, se solo sapessero che il rumore più dirompente in questo momento è quello del respiro che esce dalle mie narici. Stanco come un minatore dopo 14 ore di lavoro, continua a inerpicarsi sapendo benissimo a cosa andrà incontro. Ad un certo punto sento solo lui, il resto è tutto ovattato. Un gusto strano mi arriva al palato e subito dopo la ferita torna a fare male. Un battitore dei New York Yankees deve avermi appena dato una botta dietro le ginocchia, all'improvviso le gambe si spezzano e cado rovinosamente a terra. Non credevo che l'asfalto fosse così comodo. E chi ha voglia di rialzarsi da qui. Se gli indiani d'America ascoltavano i binari per sentire quando il treno sarebbe arrivato, io ascolto questa strada per capire quanto mi manca.
Mentre la camicia è oramai zuppa di quello che suppongo sia sangue, alcuni passi veloci riecheggiano a poche decine di metri da dove sto, per così dire, riposando. Con lo sguardo cerco la loro provenienza ma nulla, fino a quando una mano che sembra fatta di lava da quanto è bollente, mi tocca il collo. 
"Eccolo, è lui! venite! caricatelo e portatelo dallo Zar."

Ed io che ero così vicino alla fine, ricominciai tutto da capo. Dal primo comandamento. 

martedì 10 giugno 2014

TRENTA Y SEIS

"Signora mia, non mi faccia scherzi, stasera c'è la partita!" Così il ginecologo di mia madre esordi quel giorno quando la vide per l' ultima visita. Era un giorno afoso, molto caldo, era un sabato sera. Con le finestre aperte mia madre sentiva la gente in festa suonare e cantare, mentre l'ospedale andava via via svuotandosi per l'avvicinarsi della partita. La partita era Argentina - Italia e sarebbe iniziata a mezzanotte esatta. Io nacqui pochi minuti prima del fischio iniziale. Proprio per questa coincidenza non riuscirono a denunciare la mia nascita il 10 giugno ma decisero di farlo con più calma il giorno dopo. Dopo la punizione di Kempes, dopo il tacco di Paolo Rossi, dopo il gol di Bettega. Questo fu solo l'inizio. 

mercoledì 22 gennaio 2014

RUDY "THE CROOKY"

Eravamo almeno a 6 km da casa di Rody. Io non ero per nulla in grado di camminare come una persona adulta e lui, a stento, grugniva. In lontananza riuscivo a sentire delle voci. Non erano frutto della mia mente offuscata bensì erano gli abitanti di Den Stock che si stavano recando in chiesa. Quel giorno era un gran giorno: alle nove ci sarebbe stato un matrimonio. Tutto il paese era invitato, compresi io e Rody. Per inciso Rody di lavoro faceva il Padre protestante. A Den Stock
Esattamente. Probabilmente in città qualcuno lo stava cercando disperatamente, pensando ad un malore oppure ad una sua dimenticanza. Invece era lì al mio fianco con il profumo di rose che contrastava l'acre odore di vestiti stanchi di essere indossati. Rody era un uomo magro, due folti bassi quasi sempre umidi di birra scura. Pochi capelli lisci puliti come l'olio esausto. Tutti lo chiamavano Rody the crooky per via delle sue gambe storte da calciatore, anche se non aveva mai giocato con una palla rotonda. Era un rugbista tutto corsa e terzo tempo. Un giorno Charlie Monsell, un pilone di bordinton park, lo affossò con un placcaggio rimasto ancora oggi tra gli argomenti ricorrenti dei pub della città e Rody si ruppe qualche vertebra. Fu quell'episodio che gli fece scegliere una via più tranquilla e più remunerata. Diventò il Pastore di noi povere pecorelle smarrite. Mi misi in tasca il paio di mutandine e in un attimo lo avevo già spogliato e buttato nel fiume. Si riprese di colpo e con uno scatto felino risalì la riva. 
"Joe! Cristo santo cosa ci facciamo qua? Ma che ora è? E perché sono nudo?"
"Guarda Rody, mi dispiace un sacco ma le campane hanno già suonato, abbiamo veramente pochi minuti per raggiungere casa tua e no, non abbiamo più un telefono, non abbiamo più portafogli, abbiamo finito la benzina e non ricordo nulla degli ultimi due giorni" 
"Cristo santo. Mica vorrai farmi andare in città nudo vero? Facciamo che tu mi dai i tuoi vestiti e tu aspetti qui che si asciughino i miei."
Era un'idea completamente malsana ma aveva ragione. Dovevamo fare in modo che arrivasse in tempo le il matrimonio per non rischiare una pallottola cadauno. Cominciai a svestirmi, passando al volo prima la camicia, poi i pantaloni ed infine le scarpe farcite di calzini. 
"Oh Rody segui il fiume e vai dritto. Ti prego, non fermarti in pub e non fatti vedere da Sandy."
Rody annui e si mise a correre. Certo non era proprio una corsa la sua, ma ero sicuro che si stesse impegnando al massimo delle sue possibilità. 
Mentre "crooky" era oramai lontano, io dovevo ancora organizzarmi. 
Avevo dei vestiti fradici, un'automobile senza carburante, varie bottiglie vuote, del tabacco, nessuna cartina e una rivoltella appoggiata delicatamente sulla mia nuca.

lunedì 26 agosto 2013

SALUTI DAL CORTILE

Quanto mi rimaneva prima di dover andare a lavorare non lo sapevo proprio. Quello che potevo sapere, e molto bene, era che non sarei riuscito ad alzarmi da quel fosso prima di un paio di ore, forse tre. La mia automobile a pochi metri di distanza era ancora accesa con il riscaldamento al massimo e la radio a volume insostenibile. La mia prima idea di recuperare le forze grazie al calore artificiale era totalmente fallita. 
Improvvisamente vidi sul fondo del fosso una luce intermittente. Per quanto la visione rasentasse la follia, la luce era vera e proveniva dal mio cellulare ormai completamente immerso, che neanche un palombaro sott'acqua. Misi la mano tra le alghe, lo recuperai e risposi:
"Joe dove sei finito? Io sono qua che ti sto aspettando! Da cinquanta minuti!"
Non avevo la minima idea di chi fosse a parlare dall'altra parte dell'apparecchio. Sicuramente una donna dalla voce squillante, anche troppo, vista la situazione.
"Scusa, mi stavi dicendo?"
"Ti stavo dicendo, brutto stronzo, che ti sto ancora aspettando mezza nuda nel parcheggio vicino al pozzo, esattamente come mi avevi detto tu!"
C'era qualcosa che non riuscivo a cogliere. Possibile che questa ragazza stesse parlando proprio con me? Io praticamente non avevo neanche una donna nella mia rubrica, madre esclusa. Come potevano essere connesse le nostre vite?
"Ok, con calma. Facciamo una breve introduzione e ti prego, non prendertela a male. Innanzitutto, la mia domanda è: ci conosciamo?"
"Joe sei veramente un bastardo! Me l'avevano detto! Sai cosa ti dico? Vaffanculo! Tu e pure il tuo amico Rody. Fottetevi!"
Riattaccò.
Non mi aveva neanche detto come si chiamasse ma mi aveva dato dello Stronzo, e cominciavo a pensare che quella ragazza mi conoscesse veramente. Come e perché però non lo sapevo proprio.
In quel preciso istante l'automobile borbottò per alcuni secondi e poi si spense. Decisi di raggiungerla con calma, a quattro zampe.  Aprii la portiera e sul sedile totalmente disteso trovai Rody in coma profondo con in mano un paio di mutandine, che non potevano essere di mio padre. Il campanile ci annunciò che le otto erano arrivate, ed io ero ufficialmente nei guai. Guai fottutamente seri.

domenica 14 ottobre 2012

RIMEDI NATURALI

Dicono che sia grazie all'adrenalina che ci si rialzi subito dopo una caduta. Ripeto, dicono... Perché io su quell'asfalto c'ero già da un bel po' di tempo. Quell'odore di asfalto umido misto sangue raffermo oramai mi perseguitava. La vista da lì era totalmente diversa, tutto era più lento, riuscivo ad apprezzare anche tutte le pecche delle auto parcheggiate... Un parafango ruggine, un cerchione rovinato, un antenna rotta... Un antenna rotta? Un auto verde con l'antenna rotta?E l'avevo rotta io? Non ricordavo esattamente le dinamiche che mi avevano portato in quelle condizioni, ma alzando un po' lo sguardo mi accorsi di un adesivo vicino all'antenna rotta.Ahimè era un disegno che conoscevo molto bene. Un orso giallo. E c'era solo un auto verde con un orso giallo... Mi ero appena reso conto della gravità della situazione. Avevo urtato e rovinato l'auto del Nano.porca vacca, dovevo fuggire il prima possibile, ma qualche arto estremamente lesionato me lo impediva. strisciando ero riuscito ad arrivare nei pressi della mia bici, sperando che quella famosa adrenalina mi portasse lontanissimo, magari a preparare la tavola anche se in ritardo. Un suono di serratura a tripla mandata bloccò tutti i miei piani. Non sapevo cos'altro fare. Sentivo già le campane e il profumo di crisantemi. Fu in quel momento, signor giudice, che trovai i 5 cent. 

mercoledì 22 agosto 2012

QUANDO LO LASCIARONO ANDARE


Un po' mi dispiace, devo ammetterlo, Roma è una città stupenda, piena di sguardi e di voci difficili da dimenticare quando si ritorna a casa. Roma ti da sempre del tu, pronta a offrirti da bere in ogni angolo del suo salotto. Ma ora basta, devo andarmene. Rischio di perdere completamente la mia vita, la mia storia che bella o brutta è stata costruita da me, un enorme lego tutto bianco. Non sto fuggendo. Quando si fugge non si ringrazia, non si paga il conto. Sto solo cercando di capire se c'è veramente qualcuno che mi stia cercando o se sono destinato ad avere un futuro da mensa solidale dell'amore.
Ieri mi ha scritto Giulia. Devo ammetterlo, è una ragazza molto coraggiosa, continua a cercarmi anche dopo avermi conosciuto e anche dopo avermi vissuto. Giulia legge tantissimo, fotografa quotidianamente qualsiasi piccolo oggetto di colore rosso che si ritrova davanti. Per alcune persone tutto questo si chiama autismo, io lo chiamo amore.
Tornerò a Londra dove non mi conoscono ma nemmeno pretendono di farlo. Ho scatoloni pieni di propano emozionale. Devo assolutamente liberarlo, gli scatoloni sono brutti e sono cattivi, in alcuni casi spietati.
Forse non tornerò più, è quello che temevo.
Non conoscerò mai il gusto della cedrata.